Tesina Premio Pirandello 2004

 

   Liceo Statale “Archita”

                                            DISTRETTO SCOLASTICO N° 53

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Fondo Sociale Europeo

 

XLI

CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI

PIRANDELLIANI

 

 AGRIGENTO 5 – 8  DICEMBRE 2004

   

“UNA NOTTE DI GIUGNO CADDI …”

LA NOTTE E L’ULIVO SARACENO NEI GIGANTI

DI PIRANDELLO

                                                                                        

  STUDENTI

 

Valentina Geretto

Flavia Palombo

Rita Secondo

Romilda Tucci

 

“UNA NOTTE DI GIUGNO CADDI…”

LA NOTTE E L’ULIVO SARACENO NEI GIGANTI  DI PIRANDELLO

 PREMESSA

 

E’ la notte la dimensione fondamentale de I Giganti della montagna. E’ quanto abbiamo scoperto leggendo e rileggendo un’opera che affascina soprattutto per la sua atmosfera notturna. Ed è il tema che abbiamo voluto indagare, proprio perché cattura, ti prende e perché ci ha fatto pensare ad altre notti, di altri tempi, di altre opere, di altri autori, nei quali abbiamo potuto, ma forse abbiamo voluto o creduto, di scorgere echi che portano irresistibilmente alla notte pirandelliana dei Giganti.

Tutto ciò che accade nei Giganti accade di notte. E’ questo il momento in cui i personaggi sembrano rivivere nella villa nella quale si aggirano come fantasmi; è questo il momento in cui tutto ciò che è inanimato si anima; è il momento in cui la Sgricia incontra l’Angelo Centuno; è il momento in cui Maria Maddalena va a rifugiarsi nella Villa; è il momento delle apparizioni, dei fantasmi, degli spiriti, dei sogni “che acquistano uno spessore ontologico tale, che appaiono come reali a pieno titolo” [1], come ci dice Giovanni Reale, dal cui bel saggio abbiamo tratto il primo spunto per questo lavoro. La notte è quindi la dimensione che Pirandello intende proporre come fonte di verità, come “sorgente di illuminazione”, come suggerisce Umberto Artioli in un suo scritto[2] .

E allora, partiamo da qui per questa nostra avventura!

 

1)    QUALCHE CONSIDERAZIONE PRELIMINARE

 

Inizia con la notte la vita stessa di Pirandello.

“… una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d’olivi saraceni affacciata agli orli d’un altipiano di argille azzurre sul mare africano”.[3]

Non è forse un caso se, in questo frammento delle sue Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla terra, Pirandello, oltre ad averci voluto informare di essere nato di notte, decreta quest’ultima come il suo imprinting con la realtà. E la notte, la ritroveremo come elemento costante delle sue opere.

Se l’altro elemento caratteristico della poetica e dell’ideologia pirandelliana è il suo pessimismo, le cui radici vanno ricercate forse nelle vicende spesso travagliate della sua vita, che contribuirono ad orientarlo verso la sua drammatica riflessione sul mondo e sull’uomo, potremmo giungere a concludere che la prima di queste esperienze travagliate è la sua nascita “notturna”, che ha segnato il suo primo impatto con la realtà.

La notte per Pirandello è sempre qualcosa di misterioso, il luogo in cui si possono inverare i sogni, i fantasmi, ed è perciò anche rifugio. Rifugio dal suo pessimismo, dalla sua visione desolante dell’uomo e della vita. Nel momento in cui coglie l’alienazione dell’uomo moderno e il suo destino nel mondo, sembra rifugiarsi nella notte, dove i sogni, i fantasmi,  l’oltre, il mistero possono colorarsi di una dimensione reale e dove la verità, mescolandosi e fondendosi con l’apparenza e l’illusione, può facilmente mostrarsi, senza timore di essere respinta. E’ proprio nel mito della notte che sembrano confluire tutte le verità rifiutate dalla coscienza. E Pirandello, nel sottolineare l’atmosfera notturna, potrebbe anche esprimere la necessità umana di “volare” liberi da tutto ciò che ci lega ai bisogni concreti, potrebbe esprimere quel bisogno di non esistere per quello che si è ma per quello che si sogna di essere.

 

2)     LA NOTTE DI COTRONE, DEGLI SCALOGNATI E DEGLI ALTRI

 

“Al levarsi della tela è quasi sera” [4]dice subito Pirandello nella didascalia iniziale.

E così la villa della Scalogna ci viene descritta in uno scenario serale, che presenta il suo interno “illuminato da strani lumi colorati che dàn parvenza di misteriose apparizioni”[5] e sul cui sfondo appaiono i primi personaggi, che sono la Sgricia, Duccio Doccia e Quaquèo.  Più in là, sempre nella didascalia,  aggiungerà che “ a tratti da dietro la villa s’aprono anche larghi fiati di luce, come lampi d’estate”. [6]

E’ uno scenario che non sembra affatto preludere al momento del riposo, ma piuttosto preannunciare un vero e proprio risveglio della villa stessa.

Nel corso dell’opera si passa dal crepuscolo alla luce dell’alba lunare e quindi alla notte e infine al giorno. I passaggi tra un momento e l’altro sono delicatamente rilevati dalla descrizione dell’autore che riesce, con la scrittura, quasi a dipingere la scena.

La notte si annuncia con lo svanire lento della luce, successivamente con il morbido distendersi del tenue chiarore crepuscolare e poi con il primo delicato albore che annuncia il sorgere della luna.

Tutti questi momenti, che scandiscono il passaggio da un giorno all’altro, assumono chiaramente un particolare significato nell’opera pirandelliana.

Per gli uomini, qui rappresentati dalla residua compagnia di Ilse, la sera appare come il tempo del ricordo di un passato che torna come un incubo. Per gli abitanti della Villa la sera è invece “l’introduzione al Nero Reame”[7], come ha sottolineato Umberto Artioli e l’alba lunare è annuncio, apertura verso un nuovo mondo, un nuovo stato. E’ lo stato che regnerà sovrano nella notte, che diventa l’ambito del sogno, dell’irrazionale.

Il mago Cotrone cerca di sottrarre Ilse all’ eroico martirio di portare sulla scena La favola del figlio cambiato, che la contessa sente come una sua creatura, davanti ad un pubblico gretto e insensibile all’arte, cercando di convincerla che l’unico posto in cui il suo sogno d’arte possa avverarsi è la Villa e l’unico momento in cui l’arte possa riprendere vita è la notte. E Cotrone utilizza la notte come “sorgente di illuminazione”, per condurre Ilse alla consapevolezza che la vera felicità consiste nel “liberare l’anima dagli impacci terreni quali il decoro, l’onore, la dignità, la virtù, cose tutte che le bestie nella loro beata innocenza ignorano” [8] e vuole indurla ad abbandonarsi a questi incanti silenziosi e diventare padroni di niente e di tutto, proprio come gli Scalognati.

Per raggiungere il suo scopo Cotrone allestisce proprio nel cuore della Notte l’Arsenale delle apparizioni, per far sì che lo spirito della notte prenda il sopravvento ed “inizino a venir fuori dal segreto dei sensi o… dalle caverne dell’istinto” [9] quelle verità che la coscienza rifiuta ed inizino a prendere forma quei fantasmi che non sono frutto di pura immaginazione, ma nascono da noi stessi, dai nostri desideri.

Ma Cotrone non riesce a persuadere Ilse, la quale, seppure impressionata, rimane saldamente e disperatamente ancorata al mondo. La sconfitta di Cotrone si avverte nel momento in cui sopraggiungono le prime luci dell’alba e così quell’atmosfera misticheggiante e salvifica svanisce, in quanto solo la notte è sorgente di illuminazione e solo in essa si può cercare il riscatto dal passato.

C’è una forte differenza simbolica tra Notte e Giorno, sapientemente sottolineata dalla tumultuosa cavalcata dei Giganti che interrompe il clima magico che Cotrone con le sue arti era riuscito a creare, e l’una e l’altro si pongono su due piani diametralmente opposti.

La Notte, come già si è sottolineato, ha la facoltà di condurre al raggiungimento della verità. Il Giorno, invece, è per l’uomo stesso causa di cecità. E’ una visione  che fa il paio con la doppia antitesi Notte – Luce, Giorno – Ombra, la quale, attraverso le metafore della Luce e dell’Ombra, indica la diversa condizione del nascente e dell’illuminato. Umberto Artioli, nel trattare questo aspetto del dramma pirandelliano, sostiene, richiamandosi alla tradizione romantica, da Novalis a Breton, che Pirandello, “dislocando il mito nell’arco di una giornata, incerniera l’azione in un archetipo temporale, consegnato all’antitesi di Buio e Chiarore”. In questa antitesi la “fonte di vera vita” è la Notte, mentre “alba e tramonto” sarebbero “i punti di massima conflittualità…”[10].

 

3)    LA NOTTE, I SOGNI, I FANTASMI IN ALTRE OPERE E IN ALTRI AUTORI.

 

Il tema della notte e quello dell’antitesi Giorno – Notte trovano ampi riferimenti e precedenti, come si accennava poc’anzi,  in opere e autori tanto della nostra civiltà letteraria che di quella europea. Ci limiteremo qui ad indicare solo qualche esempio, in cui ci pare che  il tema abbia assunto una particolare valenza, tale comunque da fare irresistibilmente pensare a Pirandello.

Già diversi critici letterari, dallo stesso Artioli ad Alonge[11] ad altri,  hanno visto nei Giganti della montagna un ascendente pitagorico, ritrovandolo nel simbolismo numerologico, nello stesso nome di Cotrone, anagramma di Crotone, dove Pitagora fondò una comunità mistico – iniziatica, che appare tanto simile a quella degli Scalognati e in altri elementi. Ma c’è un altro aspetto che può avvalorare l’ascendenza pitagorica dei Giganti e questo è dato proprio dalla notte e dal significato che essa assume nell’opera pirandelliana. Non si dice forse che Pitagora prediligeva la notte per parlare ai propri allievi o per ascoltarli? E non è forse la stessa cosa che fa Cotrone, il quale, come fa rilevare Alonge, similmente a Pitagora teorizzava “che tutta l’aria era piena di anime, ritenute demoni ed eroi, da cui sono mandati agli uomini i sogni e i segni di malattia e di salute”[12]?

E forse la notte non è un elemento costante della Bibbia, nella quale molti tra i più significativi episodi hanno luogo di notte? Di notte avviene l’episodio della pesca miracolosa operata da Gesù, di notte avviene l’ultima cena, e di notte Gesù si reca nell’orto degli ulivi per pregare, di notte è catturato, ed è notte quando risorge e si fa notte nel momento della sua morte.

E, per venire più vicino ai tempi nostri, la dimensione della notte pirandelliana non sembra forse  anticipare quella di Freud, che vede la notte come rifugio dell’inconscio? O se vogliamo ancora andare più indietro, come non pensare alle tante notti del Romanticismo europeo e italiano? Pensando alla notte pirandelliana, ci è venuta in mente la pittura di Fussli. Una pittura che coglie l’attimo in cui l’ io si libera nel sogno visionario, momento in cui l’inconscio prende il sopravvento sulla ragione e presenta ai nostri occhi immagini incontrollate, generando mostri, fantasmi e allucinazioni che ci svelano proprio quei sentimenti che di giorno non riusciamo ad ascoltare. Ma già Fichte considerava il sogno “uno dei misteriosi benefici di natura autoterapeutica

dello spirito” [13] e il fisiologo Burdack diceva che “ il sogno ci rapisce in un altro mondo”, in esso “ non si ripete mai la vita del giorno con le sue fatiche e i suoi piaceri, le sue gioie e i suoi dolori; il sogno tende anzi a liberarcene” e Strumpell aggiungeva che “l’anima nel sogno è isolata e quasi senza ricordo del contenuto normale della vita vigile”[14]. Sono parole che sembrano richiamare quelle  di Cotrone quando invita Ilse ad oltrepassare la soglia della Villa:”…se volesse entrare un po’ nella villa, si sentirebbe subito riconfortata”, la Villa che, per dirla con Artioli, rappresenta la “soglia dell’intimità segreta, dell’immaginario puro e senza residui, soglia al di là della quale la realtà deve tacere[15].

E forse che nella notte dei Giganti non si avverte più di qualche eco delle notti leopardiane? L’ atra notte di Bruto e quella placida di Saffo, e il ragionar notturno del poeta con levaghe stelle dell’Orsa. E poi la notte della Sera del dì di festa: “…ed alla tarda notte/ un canto che s’udia per li sentieri/ lontanando morire a poco a poco,/ già similmente mi stringea il core”.

Ma, sulla base delle suggestioni che lanciava nel suo saggio Giovanni Reale, su tre autori, le cui notti ci richiamano quelle pirandelliane, vogliamo soffermare la nostra attenzione: Novalis, Pedro Calderon del la Barca e San Giovanni della Croce.

Novalis, per esempio, nei suoi Inni alla notte inizia con un elogio del giorno, o meglio della luce in sé. Tuttavia, dopo pochissimi versi, egli si distoglie da questa luce e si volge“verso la sacra, ineffabile, misteriosa notte”.

Egli appare completamente immerso in una visione che potremmo dire… pirandelliana della Notte.

E così scrive: ”Lontano giace il mondo –/ perso in un abisso profondo –/ la sua dimora è squallida e deserta”. E più in là aggiunge:  “…brevi gioie e vane speranze/ di tutta la lunga vita/ vengono in vesti grigie,/ come nebbie della sera/ quando il sole è tramontato[16]. Non solo, egli vede la notte non tanto come rifugio momentaneo o come momento di innalzamento tutto spirituale, ma come il mezzo per raggiungere quell’equilibrio dell’anima, cui noi tutti aspiriamo e che cerchiamo di raggiungere per tutta la vita. E’ ancora Novalis che, riferendosi alla notte, dice: “Le gravi ali dell’anima tu innalzi… Come infantile e povera/ mi sembra ora la luce -/ come grato e benedetto/ l’addio del giorno”. [17]

Si avverte qui come un risveglio. La luce cerca di irrompere in ogni modo in quello spiraglio di tranquillità così faticosamente conquistato. E Novalis, che potremmo chiamare il “poeta della notte”, parla di quest’ultima come di “…regno senza tempo e senza spazio. –  Eterno dura il sonno. Sonno santo…”.[18]

E’ davvero interessante come le visioni di due autori, lontani tra di loro, cresciuti in mondi e contesti diversi (ma non dobbiamo dimenticare tuttavia che Pirandello conosceva bene la letteratura tedesca e certamente avrà letto gli Inni alla notte di Novalis) abbiano dei fili che le legano su qualcosa di così inafferrabile e sfuggevole come la notte.

Ci sembra di entrare in un’atmosfera rarefatta, pirandelliana, anche quando leggiamo alcuni versi di In una notte oscura di San Giovanni della Croce:

“In una notte oscura//ma con ansie d’amore tutta

infiammata

o felice ventura, //uscii, né fui notata,//stando la mia casa addormentata.

Io nel buio e sicura, // per la segreta scala, travestita,

o felice ventura, // a ogni lume sfuggita,// tutta la casa mia stando

sopita:

nella notte gioiosa, // il segreto e nessuno mi scorgeva,

né io vedevo cosa, // senz’altra luminosa guida, // che il raggio che nel cuore

ardeva…[19]

E’ il canto dell’anima che perviene ad una dimensione mistica nella notte oscura.

L’anima esce dal corpo, salendo i gradini della scala mistica, senza essere vista da nessuno. Esce dalla dimora dei sensi che dormono e non la trattengono più. E la notte è qui oscura, ma è il tramite per l’ascesi mistica e perciò diventa anche notte gioiosa, capace da sola, “senz’altra luminosa guida”, di far scorgere “il raggio che nel cuore ardeva”. La notte è anche qui “sorgente di illuminazione”.

Aggiungerà, infatti:

“Questa notte che diciamo essere la contemplazione, produce nelle persone spirituali due specie di tenebre, o purificazioni, secondo le due parti dell’uomo, la sensitiva e la spirituale. E così una notte o una purificazione sarà sensitiva: per mezzo di essa l’anima si purifica secondo il senso, riducendolo più conforme allo spirito; l’altra sarà notte o purificazione spirituale con la quale l’anima si purifica e diventa nuda secondo lo spirito, adattandolo e disponendolo all’unione dell’amore con Dio”.[20]

E, ad ulteriore chiarimento, conclude:

“ Resta dunque da dire come questa notte oscura, benché ottenebri lo spirito, lo faccia unicamente per infondergli luce in tutte le cose. Se lo umilia e lo rende miserabile, lo fa soltanto per esaltarlo ed elevarlo; se lo rende povero e vuoto di ogni possesso e affetto naturale, lo fa solo perché si possa divinamente espandere a godere di tutte le cose celesti e terrene con grande e totale libertà di spirito”.[21]

 La notte infonde luce nello spirito e Dio stesso appare percepito non nella luce trasparente del giorno, come esperienza evidente e razionalmente esprimibile, ma nel buio della notte, nel silenzio solitario della contemplazione muta.

Anche  alcuni versi di Pedro Calderòn de la Barca, tratti da La vita è sogno, sembrano riecheggiare espressioni che si ritrovano nei Giganti della montagna. Dirà Sigismondo nella XIX scena:

“… Ci troviamo

in un mondo così strano

dove vivere è sognare…

Cos’è la vita? Un delirio.

Cos’è la vita? Un’illusione,

un’ombra, una finzione;

ed è niente anche il bene più grande;

perché la vita è sogno,

e i sogni non sono che sogni”.[22]

Ecco cosa dice Pirandello, per bocca di Cotrone:

“E’ la villa. Si mette tutta così ogni notte da sé in musica e in sogno. E i sogni a nostra insaputa vivono fuori di noi, per come ci riesce di farli, incoerenti…”.[23] E quando Ilse gli chiede se inventa la verità, Cotrone così risponde:

“Non ho mai fatto altro in vita mia! Senza volerlo, Contessa. Tutte quelle verità che la coscienza rifiuta. Le faccio venir fuori dal segreto dei sensi, o a seconda, le più spaventose, dalle caverne dell’istinto. Ne inventai tante al paese, che me ne dovetti scappare, perseguitato dagli scandali. Mi provo ora a dissolverle in fantasmi e in evanescenze. Ombre che passano. Con questi miei amici mi ingegno di sfumare sotto diffusi chiarori anche la realtà di fuori, versando, come in fiocchi di nubi colorate, l’anima, dentro la notte che sogna”.[24]

La vita come sogno, come illusione, ombra, finzione, fantasma, evanescenza!

C’è tanto Calderòn in Pirandello, come c’è tanto Pirandello in Calderòn! Un autore che già, in quel lontano secolo del barocco, insieme ad altri, non solo riflette tanto sui grandi temi, che saranno poi novecenteschi, della illusorietà della vita e del mondo e del rapporto di ogni individuo con il destino, ma sviluppa pirandellianamente, oseremmo dire, la metafora del mondo e della vita come teatro. Sintomatico è già il titolo di una delle sue opere teatrali fondamentali, Il gran teatro del mondo, scritta nel 1663.

 

 

 

4)    UN SALTO NELL’ OGGI

 

Non solo l’arte, quella letteraria, ma anche quella figurativa, ha dato così largo spazio al tema della notte e ai misteri onirici. Anche la musica, quella di oggi, parla spesso di sogni…Ci siamo trovate a canticchiare, mentre leggevamo I Giganti, le parole di una canzone di Edoardo Bennato. Parole che ci dicono come arrivare al posto più famoso del mondo, il posto in cui ogni bambino, ma anche ogni adulto, vorrebbe rifugiarsi per sfuggire una realtà che non fa sognare.

“Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto fino al mattino, poi la strada la trovi da te…porta all’isola che non c’è” [25]. Ecco per dove si giunge all’isola che non c’è! “.

E perché non pensare alla favola di Peter Pan che, in fin dei conti, ha il potere di riportarci a tutto questo? A quanti di noi, da bambini, è capitato di sentirci raccontare questa storia di Peter Pan. Una storia travolgente, che può ancora affascinare per la sua capacità di riflettere e far riflettere, con eleganza e con humour, sui grandi temi dell’esistenza, sul rapporto fantasia – realtà, piaceri – doveri, vita – morte. Non solo ! E’ anche una storia sulla fede in qualcosa che va oltre il visibile, verso l’isola che non c’è, appunto. In fondo, la storia di Peter era stata raccontata anche a Wendy, protagonista femminile della favola… Wendy, ossessionata dall’eterno bambino, finisce col suscitare la curiosità di Peter che non solo va a trovarla, ma la porta con sé nell’isola. E quando accade? Di notte ovviamente, ossia durante l’unico momento della giornata che, avvolto nelle tenebre, lascia che tutto ( sogni, fantasie)  appaia interessante e avvincente.

Per questo la favola  di Peter Pan non è ancora superata. Peter vive su un’isola perché ha paura di affrontare una realtà così grigia per lui, una realtà che lo ha rifiutato da quando era ancora in fasce. Wendy lo inviterà a tornare a Londra con lei, ma egli rifiuterà, giustificandosi così: “Non posso…mi faranno andare a scuola, e poi mi chiuderanno in un ufficio”. E Wendy non può dargli torto.. Forse nessuno di noi vorrebbe che un eterno bambino, capace di volare, si prendesse cura di noi, combattendo con i pirati e facendoci mangiare del cibo immaginario. Ma quanti di noi, di notte, non vorrebbero davvero volare sulla propria isola, seguendo le stelle, solo per l’illusione momentanea di potersi liberare delle oppressioni e delle responsabilità di ogni giorno?

Ed è questo che poi succede nella Villa della Scalogna, il posto in cui i sogni più nascosti possono prendere forma, materializzandosi con spirito indipendente. I personaggi della Villa, quelli che ci abitano e quelli che sono giunti all’ultimo momento, vogliono conservare l’arte, mettendola al riparo da un mondo troppo ottuso e brutale per poterla comprendere completamente. Peter Pan invece vuole salvaguardare la sua capacità di sognare e di usare la fantasia per creare qualcosa di davvero meraviglioso.

In una società troppo presa a cercare qualcosa di originale, piuttosto che a rendersi conto che l’originalità ci sarebbe se qualcuno si fermasse a sognare, i personaggi dei Gigantisi ritagliano il loro spicchio di mondo… come Peter Pan, Wendy e i bambini sperduti che volano su un’isola che non c’è…

Non possiamo giudicare, tanto meno biasimare, chi ancora oggi, prima di addormentarsi, ha bisogno di guardare il cielo, fissando una stella lontana, sperando che sia l’isola, perché ognuno di noi ha bisogno di sognare un’isola, una villa o semplicemente una passeggiata sulla spiaggia al chiaro di luna, per sentirsi vivo e partecipe di una Notte così carica di misteri e di possibilità.

“Seconda stella a destra questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino non ti puoi sbagliare perché quella è l’isola che non c’è! E ti prendono in giro se continui a cercarla, ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle forse è ancora più pazzo di te”.[26]

 

 

CONCLUSIONI

 

Possiamo concludere con le parole di Stefano Pirandello che ci ricordano la penultima notte della vita del padre (ancora la notte!) e che, ci sembra, avvalorino e aggiungano un ulteriore senso alla ricerca, che fino a qui abbiamo condotto.

“Non posso sapere e nessuno potrà sapere se all’ultimo, nella fantasia di mio padre, che fu occupata da questi fantasmi durante tutta la penultima notte della sua vita, tanto che alla mattina mi disse che aveva dovuto sostenere la terribile fatica di comporre in mente tutto il terzo atto, e che ora, avendo risolto ogni problema, sperava di poter riposare un poco, – in quest’ultimo concepimento, la materia non si fosse atteggiata altrimenti. Io seppi da lui, quella mattina, soltanto questo: che aveva trovato un olivo saraceno.

–         C’è – mi disse sorridendo – un olivo saraceno grande, in mezzo alla scena, con cui ho risolto tutto. – [27]

Una vita che inizia in  una notte, in una campagna d’olivi saraceni, e si conclude in un’altra notte e con l’immagine del grande olivo saraceno, che doveva essere il suggello della sua ultima e più grande opera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Geretto Valentina  IIID classico

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Palumbo Flavia IIID classico

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Secondo Rita VA scienze sociali

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Tucci Romilda IIID classico

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BIBLIOGRAFIA

 

1)    Giovanni REALE, Pirandello e il mistero, in  Pirandello e la fede, atti del XXXVII Convegno internazionale di Studi Pirandelliani,, Edizione Centro nazionale studi pirandelliani, Agrigento, 2000.

2)    Umberto ARTIOLI, La madre e i figli cambiati: il Gigante e l’Angelo, in Testi e messa in scena in Pirandello, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1986.

3)     Luigi PIRANDELLO: Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla terra, in L. PIRANDELLO, Saggi, Poesie, scritti vari, a cura di Manlio Lo Vecchio – Musti, Arnoldo Mondatori editore, Milano 1993.

4)    Luigi PIRANDELLO, I Giganti della montagna, con Introduzione di Nino Borsellino e Prefazione e note di Marziano Guglilminetti, Garzanti Editore, Milano 1995.

5)    Roberto ALONGE, I Giganti della Montagna nella scena europea del Novecento, in I Giganti della montagna, atti del 41° Convegno internazionale di studi Pirandelliani, ed, Centro nazionale studi pirandelliani, Agrigento, 2004.

6)    Roberto ALONGE, I Giganti della montagna, l’ enigma di un’opera incompiuta, introduzione a I Giganti della Montagna, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1993.

7)    Sigmund FREUD, L’interpretazione dei sogni, ed. CDE s.p.a. – Milano su licenza dell’Editore Boringhieri, 1973, p.28

8)    Friedrich, Leopold VON HARDENBBERG, NOVALIS, Inni alla notte, Poesia straniera tedesca, La Biblioteca di Repubblica, Gruppo editoriale L’Espresso, Firenze, 2004.

9)    Pedro CALDERON de la BARCA, La vita è sogno, Poesia straniera spagnola e ispanoamericana, La Biblioteca di Repubblica, Gruppo Editoriale L’Espresso, Firenze 2004.

10)                      Umberto ARTIOLI, L’officina segreta di Pirandello, Roma – Bari Laterza, 1989.

11)                      SITO INTERNET, http://www.jaddico.it / giovanni. Htm

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Giovanni REALE, Pirandello e il mistero  in Pirandello e la fede, atti del XXXVII Convegno internazionale di Studi pirandelliani, Edizioni Centro Nazionale di studi pirandelliani, Agrigento, anno 2000, p. 50. Nello stesso saggio si dice che I Giganti della montagna possono considerarsi “un vero e proprio manifesto dell’oltre, ossia del mistero, presentato nella dimensione del magico…”

[2] Umberto ARTIOLI, La madre e i figli cambiati: il Gigante e l’Angelo, in Testi e messa in scena in Pirandello, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1986. p.151.

[3] L. PIRANDELLO: Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla terra, in Saggi, Poesie, Scritti vari, a cura di Manlio Lo vecchio – Musti, Arnoldo Mondatori Editore, Milano, 1993, p. 1105.   

[4] L. PIRANDELLO, I Giganti della montagna, con introduzione di Nino Borsellino e Prefazione di Marziano Guglilminetti,  Edizioni GARZANTI, Milano, 1995, p. 178.

[5] Ivi, p. 179

[6] Ivi, p. 181

[7] Umberto ARTIOLI, La madre e i figli cambiati: il Gigante e l’Angelo, in Testo e messa in scena in Pirandello, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1986, p.151

[8] L. PIRANDELLO, I Giganti della montagna, op. cit., pp. 223 – 224.

[9] Ivi, p., 222.

[10] Umberto Artioli, L’officina segreta di Pirandello,, Roma – Bari Laterza, 1991, pp. 95 – 96.

[11] Roberto ALONGE, I Giganti della montagna, l’enigma di un’opera incompiuta, Introduzione ai I Giganti della montagna, Arnoldo Mondatori editore, Milano, 1993. ; Umberto ARTIOLI, La madre e i figli cambiati; il gigante e l’Angelo, op. cit.

[12] La citazione è tratta da Roberto Alonge I Giganti della montagna: l’enigma di un’opera incompiuta, prefazione all’opera di Pirandello, Arnoldo Mondatori editore, Milano 1993, p. XXIII.

[13] La citazione è tratta da Sigmund FREUD, L’interpretazione dei sogni, ed. CDE spa – Milano su licenza dell’ Editore Boringhieri, 1973, p.28

[14] Tutte queste citazioni sono tratte da Sigmund FREUD, op. cit. p. 28.

[15] Umberto ARTIOLI,La madre e i figli cambiati:il Gigante e l’Angelo ,op. cit. p.151. Le parole di Cotrone si possono leggere a pag.211 de I Giganti della Montagna,op.cit.

[16]  Friedrich Leopold von Hardemberg,NOVALIS, Inni alla notte, in Poesia straniera tedesca, Biblioteca di Repubblica, Gruppo editoriale L’Espresso, Firenze, 2004, p.363. Traduzione di G. Bemporad.

[17] Ivi, p. 365.

[18] Ivi, p. 367.

[19] Sito Internet,  http: // www. jaddico. it / giovanni. htm

[20]  Sito Internet, http: //  www. jaddico. it / giovanni. htm

[21] Sito Internet, http: // www. Jadico. It./ giovanni. htm

[22] Pedro CALDERON de la BARCA, La vita è sogno, in Poesia straniera spagnola e ispanoamericana, La Biblioteca di Repubblica, Gruppo Editoriale L’Espresso, Firenze, 2004, p. 235 – 236, traduzione di E. Cancelliere.

[23] L. PIRANDELLO, I Giganti della montagna, op. cit. p. 242.

[24] L. PIRANDELLO, I Giganti della montagna, op. cit., p. 222.

[25] E. BENNATO, L’isola che non c’è, canzone tratta dall’album, Sono solo canzonette, 1980.

[26] E. BENNATO, L’isola che non c’è,  canzone tratta dall’album: Sono solo canzonette, 1980.

[27] Stefano PIRANDELLO,  Il terzo e ultimo atto dei Giganti della montagna, in Luigi Pirandello, I Giganti della montagna, con introduzione di Nino Borsellino e prefazione di Marziano Guglielminetti, Garzanti, Milano, 1995. 

Progetto Pirandello 2004

Ad Agrigento vince l’Archita

IL LICEO STATALE “ARCHITA” VINCE AD AGRIGENTO IL “PREMIO PIRANDELLO PER UNA TESINA”.

 

GRANDE AFFERMAZIONE ANCHE DEL LABORATORIO TEATRALE PIRANDELLIANO DELLO STESSO LICEO.

 

A conclusione del 41° Convegno Internazionale di studi pirandelliani, svoltosi, nei giorni 5 – 8 dicembre 2004, ad Agrigento, sul tema “I giganti della montagna”, il Liceo statale “Archita” di Taranto ha vinto il primo premio Pirandello per una tesina dal titolo: “Una notte di giugno caddi…La notte e l’ulivo saraceno nei Giganti di Pirandello”.

La tesina è stata elaborata, a seguito di un lungo lavoro di studio e di ricerca, da un gruppo di lavoro formato dalle alunne Valentina Geretto, Flavia Palumbo, Rita Secondo e Romilda Tucci, coordinate dal prof. Damiano Palma. Questa la motivazione della giuria, formata da studiosi e critici letterari, che ha preso in esame le oltre duecento tesine pervenute da tutte le scuole d’Italia in occasione dell’annuale Convegno:

   “La ricerca, che si avvale di una struttura circolare, rivela in ogni sua parte un preciso filo conduttore che si va dipanando, nel quale si innervano suggestioni testuali, echi e collegamenti letterari di notevole spessore e di grande fascino: questo filo conduttore è costituito dalla notte che, a ben guardare, sembra aprire la vita dello scrittore agrigentino (“Una notte di Giugno caddi…”) e chiuderla con la notte dei Giganti, vero testamento artistico del drammaturgo.

   Ricchi di fascino risultano gli accostamenti agli altri autori, canonici e non (da Novalis a Leopardi, daCalderon de la Barca a S. Giovanni della Croce), per finire poi addirittura con Edoardo Bennato e la sua Isola che non c’è.

   La scrittura, fresca e conducente, sembra essere lo specchio riflettente di un mondo giovanile di qualità che si interroga con acutezza sul grande scrittore agrigentino, ma che non rinuncia a puntare il proprio sguardo, attento e ricco di speranze, sulla realtà di oggi”.

Sempre nell’ambito Convegno, lo stesso Liceo “Archita”, scelto per il secondo anno consecutivo per la rassegna Teatro scuola, ha conseguito un prestigioso successo di critica e di pubblico per la rappresentazione di Sogni d’autore, nata dalla lettura dell’opera di Luigi Pirandello I Giganti della montagna  e realizzata dal Laboratorio teatrale pirandelliano del Liceo, coordinato dalla professoressa Rosanna Santagada, in collaborazione con la dottoressa Cira Santoro del C.R.E.S.T. di Taranto.

Si tratta di una doppia prestigiosa affermazione del nostro Liceo, avvenuta in un contesto internazionale di altissima rilevanza culturale, quali sono gli annuali Convegni internazionali di Studi Pirandelliani.

Un’affermazione che dà lustro al Liceo “Archita”, riconfermandone il prestigio e le grandi capacità progettuali e di formazione culturale dei propri studenti.  Ed è anche il segno di come la scuola, in genere, nonostante tutto, possa, ancora oggi, rappresentare uno dei pochi luoghi in cui si fa ricerca e si produce cultura, a prezzo naturalmente di enormi sacrifici e di costi che sono però spesso insostenibili per le Istituzioni scolastiche, sempre più depauperate delle risorse necessarie. E questo francamente dispiace. Dispiace soprattutto che queste potenzialità presenti nelle scuole, la loro volontà e capacità di proporre un’offerta formativa sempre più di qualità, non siano incoraggiate e sostenute neppure dalle Istituzioni locali. Un così prestigioso riconoscimento, come quello conseguito dall’Archita, in un consesso di così pregevole livello culturale, non dà lustro solo alla scuola, ma all’intera città. In fondo, ad Agrigento ha certamente vinto l’Archita, ha vinto una scuola della città di Taranto e quindi ha vinto anche la città. E allora diventano sempre più inspiegabili le ragioni per le quali le nostre Istituzioni locali, che pure tante volte abbiamo sollecitato, continuino a dimostrare una così scarsa sensibilità verso la progettualità culturale della scuola.

 

 L’Archita vince il 1° premio per la miglior tesina su Pirandello

Gazzetta del Mezzogiorno 23/12/204

 

Gazzatta

Progetto Pirandello 2008

 PROGETTO PIRANDELLO  2008

 

Anche quest’anno il Liceo “Archita” di Taranto è stato invitato a partecipare al Convegno Internazionale di Studi Pirandelliani, il 45°, come da tempo ormai accade. Ogni scuola che accorre da ogni parte d’Italia a questo richiamo siciliano deve individuare gruppi di lavoro e relativi docenti coordinatori, che seguano le indicazioni del Centro Nazionale di Studi Pirandelliani riguardo alle tematiche da affrontare annualmente. Il tema del Prossimo convegno, che si terrà ad Agrigento tra il 5 e l’8 dicembre 2008, è l’“Attualità di Pirandello” e ad esso vanno ispirati tutti i lavori che i gruppi vogliono inviare alla commissione preposta a decretare i vincitori dei diversi concorsi:

–         Premio Pirandello cortometraggio

–         Premio Pirandello per una tesina

–         Premio Pirandello Teatro Scuola

–         Premio Pirandello per una Tesi di Laurea

Gli alunni selezionati per merito dal nostro Liceo vengono raggruppati e affidati, come già detto, a docenti di Lettere, i quali li preparano sul tema da approfondire attraverso lezioni frontali, letture di saggi, visioni di film tratti dalle opere di Pirandello e coordinano  le fasi della produzione per la partecipazione ai primi tre dei suddetti Premi, rivolti alle scuole secondarie di secondo grado.

Le lezioni si svolgono per un totale di 15 ore pomeridiane, tra gennaio/febbraio e settembre/ottobre, pertanto il Progetto si sviluppa nell’arco dell’anno solare; così i partecipanti vengono scelti fra gli alunni frequentanti le quarte classi e concludono l’esperienza durante il quinto anno.

Per accedere al Convegno è necessario che i gruppi di lavoro partecipino anche ad un incontro ad esso propedeutico, la Giornata provinciale Pirandelliana, che quest’anno è stata organizzata proprio dal Liceo “Archita” e si è svolta il 15 marzo ‘08 presso i saloni della Provincia a Taranto, con la partecipazione straordinaria del Professor Enzo Lauretta, fondatore e curatore del Convegno e dei relativi Progetti.

Il viaggio-studio si svolge in pullman e in traghetto e i partecipanti al Convegno vengono ospitati presso confortevoli alberghi agrigentini. Il Convegno si svolge in un moderno palacongressi, brulicante di giovani e sul cui palco si avvicendano professori universitari, specialisti ed esperti, a livello nazionale e internazionale, i quali relazionano sull’argomento proposto in mattinata, mentre nel pomeriggio lo spazio si apre agli interventi dei gruppi di lavoro che presentano le proprie produzioni.

Il Convegno è arricchito da visite guidate alla Valle dei Templi, alla Casa natale e al Museo di Pirandello, nonché dalle rappresentazioni serali della Rassegna Nazionale del Teatro Scuola.

Durante l’ultima giornata del Convegno avviene la premiazione dei migliori lavori proposti in tutti i settori, ma i partecipanti, vincitori e non, rimangono sicuramente soddisfatti della meravigliosa e formativa esperienza vissuta.

Pirandello

I libri antichi della Biblioteca

Biblioteca Libri Tra le altre dotazioni di cui il Liceo “Archita” è fornito c’è la biblioteca, ricca di circa 20.000 volumi e annate di riviste, che vi si sono raccolti nel corso della storia dell’Istituto.
Contiene testi editi in questo suo secolo di vita, ma ha attinto anche al mercato antiquario (con una libreria di Pistoia, nel 1895, aveva un conto aperto di £ 79,50, i cui ultimi due acquisti, due testi del 1684 e del 1719, costavano £ 2): tale mercato era attivo nel 1800 e nel Sud già con la confisca dei beni ecclesiastici sotto i Borboni (1818) e soprattutto dopo l’Unità d’Italia.

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GALAESUS: una storia lunga 50 anni


Galaesus

Nel 1957 il preside dell’Archita Giovambattista Massafra diede vita alla serie degli  «Annuari» del Liceone furono pubblicati sei numeri  tra il 1956-57 e il 1963-64, ai quali il preside fornì importanti contributi scientifici. Massafra volle dare a tali volumi, nei primi due numeri, un taglio esclusivamente culturale: «in omaggio al principio che una pubblicazione del genere deve rifuggire da ogni notazione cronachistica, si è avuto cura di escludere dall’Annuario l’elencazione delle iniziative realizzate e dei risultati conseguiti dai docenti e dagli alunni dell’Istituto». A partire dal 1960, invece, consentì che una brevissima sezione dell’«Annuario» fosse dedicata alla cronaca della vita scolastica: «sollecitazione ad una rinnovata ansia di ricerca scientifica da parte dei Docenti, nonché documento di una vita didattica ed organizzativa che, al di sopra di ogni arida notizia, tende a sottolineare una vitalità spirituale sempre crescente».

Nel 1961, in occasione del Centenario dell’Unità d’Italianumerose scuole tarantine pubblicarono numeri speciali dell’annuario o del giornale d’istituto.  Nel giornale «Risorgimento nostro» del Liceo classico Archita, diretto dal professor Paolo De Stefano, il preside Massafra affermò il dovere e il bisogno di ricordare il Risorgimento e il numero IV dell’«Annuario» del 1960-61 fu in parte dedicato a tali celebrazioni.

Il 25 marzo 1963 Massafra fu nominato provveditore agli studi di Lecce: Filomena Forleo fu incaricata ad interim della presidenza dell’Archita da quella data fino al 30 settembre 1965. La Forleo dedicò il sesto e ultimo numero dell’Annuario,quello dell’anno scolastico 1963-64, al predecessore Massafra, con un pensiero particolare ai giovani: «a questi ultimi, che dagli studi umanistici traggono nutrimento per realizzare un mondo migliore, vada vivo l’augurio di rendere fecondi gli insegnamenti ricevuti da questo Liceo-Ginnasio che, unicamente al suo impegno di formare uomini liberi, deve la sua aristocrazia».

Galaesus. Studi e Ricerche del Liceo Statale «Archita» di Taranto nacque nel 1968 per impulso del preside Felice Medori: «con la pubblicazione di “Galaesus” si intende promuovere e valorizzare l’amore allo studio e lo spirito di ricerca che, nonostante il gravoso compito dell’insegnamento e del quotidiano aggiornamento didattico e culturale, continuano ad animare tanti valorosi docenti (…) L’ultima parte di “Galaesus” sarà dedicata ad illustrare l’attività integrativa del processo didattico: commemorazioni, viaggi di istruzione, sperimentazioni di vita associata.  A questa parte sono chiamati a collaborare gli stessi alunni.» Nella presentazione del primo numero diGalaesus, Medori annunciava la celebrazione del primo centenario dell’Istituto, nato l’11 aprile del 1872. Il quinto numero del 1972 fu, infatti, una speciale monografia da collezione, dedicata al centenario del Liceo ed ancora oggi, con pregi e limiti, rappresenta il punto di partenza per qualunque ricostruzione storiografica delle vicende del Liceo. Della rivista furono pubblicati nove numeri di seguito fino al 1978: il nono numero fu dedicato alla memoria di Aldo Moro: «questo nono fascicolo della rivista era già stampato, quando tragica, improvvisa si diffondeva per tutta Italia la notizia del reperimento, in via Caetani in Roma, della salma martoriata dell’on. Aldo Moro. Il Liceo-ginnasio Archita, che fu la Sua scuola, le cui aule Egli, giovinetto di grandi capacità intellettuali, frequentò in tempi lontani,  gli tributa con questo inserto l’estremo riverente saluto. 10 maggio 1978». Nel decennio 1968-1978 la rivista fu pubblicata per opera di vari docenti: non abbiamo indicazioni di un solo curatore, ma fu seguita personalmente prima dal preside Medori e poi dal preside Pignatelli.

Ci fu, poi, una lunga interruzione di Galaesus, dopo la quale la pubblicazione riprese con il numero 10 del 1985, per impulso della preside Franca Schembari Giraldi: «dopo otto anni di “silenzio stampa” non certo per mancanza di una proficua e vivace attività didattica e culturale, il Liceo Archita riprende un’antica tradizione con la pubblicazione di questo volume, che continua a portare il nome di Galaesus datogli nel 1968 da Felice Medori». Per la preside, Galaesus voleva proporre un taglio più squisitamente culturale, come era nelle intenzioni del suo fondatore Medori, rispetto al precedente Annuario.  Dal numero 10 del 1985 fino al numero 30 del 2006 la rivista fu coordinata dal professor Roberto Nistri, che iniziò a firmare la redazione dei volumi a partire dal numero 14 del 1990. Dal numero 10 in poi, la rivista non ebbe altre interruzioni, ove si eccettui quella dell’anno 1986-87, in cui fu pubblicato a cura degli studenti del liceo uno speciale fascicolo fotografico sulla vita dell’Istituto. A partire dal numero  22 del 1998, la rivista ha aggiunto in quarta di copertina la scritta Annuario dei docenti, studenti ed ex studenti del Liceo “Archita”. Nel  2013  è  uscito il trentacinquesimo volume, interamente dedicato alle celebrazioni dei 140 anni del Liceo. Anche questo volume, come quelli dal 2007, è stato curato dai Prof. Damiano Palma, Francesca Poretti e Loredana Flore.

Chi era Archita?

Politico, astronomo, scienziato, filosofo

 

Logo Archita

 

Così Archita fece grande la sua Taranto

 

Era un condottiero imbattibile. È considerato l’inventore della meccanica razionale. Inventò un uccello meccanico che volava di ramo in ramo e un sonaglio per bambini. E potrebbe avere inventato anche la carrucola e la vite anticipando Archimede.

Archita (428 – 347 a. C.) fu filosofo pitagorico, politico, stratego, musicista, matematico, scienziato, astronomo, uomo di stato nonché generale. Nacque a Taranto, città della quale fu pritaneo (governatore). Attuò una politica di sviluppo che portò Taranto a diventare la metropoli più ricca e importante della Magna Grecia. Con l’edificazione di monumenti, templi e edifici diede nuovo lustro alla città e nuovo slancio al commercio stringendo relazioni con altri centri, come l’Istria, la Grecia, l’Africa. Tentò inoltre di creare una lega delle città della Magna Grecia contro le popolazioni autoctone. Amico di Platone, conosciuto in Sicilia, nel 361 avanti Cristo contribuì con la sua influenza alla liberazione del filosofo greco, tenuto prigioniero a Siracusa da Dionisio II. Fu discepolo del pitagorico Filolao di Crotone. Insegnò, in seguito, matematica a Eudosso di Cnido. Ad Archita sono tradizionalmente attribuiti molti testi spuri, mentre sono soltanto alcuni i frammenti riconosciuti come originali. Tra le sue opere, il De Mente et de principiis, il De Mente et sensu, il De Sapientia, il De decem categoriis, il De regno, il De regibus, il De generatione e il De custodia. Archita è stato il primo a proporre il raggruppamento delle discipline canoniche (l’aritmetica, la geometria, l’astronomia e la musica: il quadrivium di epoca medievale). Morì a seguito di un naufragio nelle acque di Mattinata sul Gargano (in epoca romana il paese, Matinum, era sulla costa) e lì fu sepolto, come ci riferisce il poeta Orazio:

Te maris et terrae numeroque carentis harenae

mensorem cohibentArchyta,

pulveris exigui prope litus parva Matinum

 munera

(Traduzione: … Te misuratore del Mare e della Terra e delle immensurabili arene, coprono, o Archita, pochi pugni di polvere presso il lido Matino …).

Nonostante Archita sia vissuto dopo Socrate, è inserito tra i filosofi presocratici, perché continua la filosofia pitagorica; infatti basò le sue idee filosofiche, politiche e morali, sulla matematica. Archita viene considerato l’inventore della Meccanica. Si dice che abbia inventato due straordinarie apparecchiature meccaniche. Un’apparecchiatura era un uccello meccanico, la famosa colomba di Archita, l’altra sua invenzione era un sonaglio per bambini.

Pare si trattasse d’una colomba di legno, vuota all’interno, riempita d’aria compressa, e fornita d’una valvola che permetteva apertura e chiusura, regolabile per mezzo di contrappesi. Messa su un albero, la colomba volava di ramo in ramo perché, apertasi la valvola, la fuoriuscita dell’aria ne provocava l’accensione; ma giunta ad un altro ramo, la valvola o si chiudeva da sé, o veniva chiusa da chi faceva agire i contappesi; e così di seguito, sino alla fuoriuscita totale dell’aria compressa. Il secondo giocattolo, la raganella, ebbe fortuna è ancora in uso, e spesso si vede nelle fiere popolari di giocattoli. Nella forma originaria era costituita da una piccola ruota dentata fissata ad un bastoncino. Sulla ruota, da dente a dente, saltava una molla cui era congiunto un pezzo di legno. Aristotele (Pol. VIII 6) consigliava questo giocattolo ai genitori, perché, divertendoe captando l’attenzione dei bambini, li distoglieva dal prendere e rompere oggetti domestici. Si dice anche che abbia inventato la carrucola e la vite anicipando Archimede.

Essendo Archita un pitagorico, la matematica era il suo campo d’azione principale e vedeva tutte le altre discipline subordinate alla matematica. In quest’ultimo campo, condusse delle ricerche sulla frequenza ed una teoria del suono. Contengono degli errori, ma sono considerate un lavoro straordinario che diverrà la base per la teoria di Platone. Archita stabilì per primo la serie dei numeriirrazionali e del loro calcolo, della serie cioè delle radici quadrate che si risolvono in numeri frazionari. Portò la teoria armonica ad un livello nuovo ed intero di sofisticazione teoretica e matematica.

Archita visse la sua giovinezza e la maturità (un periodo che va dal 380 al 350 a.C.) quando Taranto era una delle città più potenti nel mondo greco, uscita vincitrice dalla guerra del Peloponneso. Molto probabilmente si dedicò all’esercizio della politica solo in età adulta. In questo periodo fu eletto generale (strategòs) per sette anni di seguito. La sua elezione fu un’eccezione poiché esisteva una legge che impediva l’elezione negli anni successivi, e ciò attesta la grande considerazione che avevano di lui i tarantini. Aristosseno riporta che Archita fu un valoroso condottiero e non venne mai sconfitto in battaglia.

Accrebbe le forze dell’armata e della flotta applicando le sue scoperte di meccanica alla creazione di una primitiva artiglieria. Sotto la sua guida i tarantini sconfissero i messapi ed i lucani. Espugnarono Mesagne e fecero rientrare nell’orbita della colonia greca Brindisi ed Egnazia. La dominazione tarantina si diffuse in molte pòlis della Peucetia e della Daunia, subendo l’influenza artistica, religiosa ed economica della metropoli. Per il suo prestigio Archita fu nominato capo della confederazione degli italioti e stabilì la sede della lega ad Eraclea. Durante il suo governo, si dedicò allo sviluppo dell’economia, della cultura e dell’arte. Favorì l’agricoltura insegnando lui stesso ai cittadini i precetti per migliorare i raccolti. Spesso ricordava loro che Apollo non conoscesse altro a Falanto che fertili campi e amava ripetere:

Se vi si domanda come Taranto sia diventata grande, come si conservi tale, come si aumenti la sua ricchezza, voi potete con serena fronte e con gioia nel cuore rispondere: con la buona agricoltura. 

Nel campo legislativo promulgò diverse leggi per favorire una più equa distribuzione delle ricchezze, tenendo conto dei principi di armonia matematica.

(da La Voce del Popolo, n.11, giugno2006)

 

 

DARIO DEL CORNO, Archita di Taranto e la cultura della Magna Grecia

(a cura di FRANCESCA PORETTI)

 

Non molto tempo fa, la Preside del Liceo Classico “Archita” di Taranto, prof.ssa Franca Schembari, ha invitato il Prof. Dario Del Corno, dell’Università di Milano, a celebrare il centenario della statalizzazione del Liceo con una conferenza su Archita.

Tale conferenza non ha avuto solo il merito di ricostruire in modo illuminante e approfondito la figura di Archita e la cultura della Magna Grecia, bensì, quello, soprattutto, di far rivivere tra noi tarantini un periodo storico, di cui la città può andare giustamente orgogliosa e il cui artefice e fautore fu appunto Archita.

Questi fu al tempo stesso filosofo e uomo di Stato (fu eletto ben sette volte stratego di Taranto) nella I metà del IV secolo a. C., e in questo suo duplice ruolo è già la novità della sua esperienza, per la quale può essere accostato, in Grecia, solo a Demetrio Falereo, il principe-filosofo, che governò Atene dal 317 al 307 a.C. Infatti, i Greci della madrepatria avevano sempre tenuto distinti i due campi, quello della speculazione filosofica, pertinente alla sfera metafisica, e quello dell’attività politica o pratica, con il quale “si scendeva” alla sfera del sensibile. Viceversa, nella Magna Grecia e in Sicilia, un’autonoma elaborazione culturale aveva quasi sempre indotto i filosofi e gli intellettuali ad accostarsi al mondo sensibile, quotidiano, quasi che la teoria non avrebbe avuto senso, se non avesse trovato una sua concreta applicazione pratica.

Così Archita, sviluppando alcune ricerche già avviate nell’ambito della scuola pitagorica, segna ulteriori passi in avanti nel cammino della geometria, della matematica, della musica, dell’acustica, dell’astronomia, ma opera una innovazione che fu apertamente criticata da Platone: trasferisce, cioè, quesiti di carattere speculativo dal campo dell’astrazione filosofica a quello della meccanica e della tecnologia (per es., quando risolve tecnicamente il problema della duplicazione del cubo). D’altra parte, Archita fu famoso anche per gli ingegnosi giocattoli che costruì (la raganella, la colomba), prova della sua abilità nella meccanica applicata (da lui avrebbe preso le mosse Archimede, celebre inventore delle macchine da guerra con cui Siracusa resistette all’assedio dei Romani nel 212 a.c.).

Ancora, Archita mostra la sua indipendenza rispetto al Maestro nella concezione del sapere: Pitagora, pur nella modernità del suo studio scientifico del reale, è tuttavia ancorato ad una ipotesi di sapere globale, unitario, in cui tutte le discipline siano riconducibili ad un punto di convergenza (che, per lui, è il numero, principio di tutte le cose e mezzo di conoscenza della realtà); Archita, invece, è proiettato verso il nuovo orientamento della cultura e del sapere, fondato sulla autonomia e la specificità delle singole materie, oggetto di indagine (la “metafora della parentela” tra queste porta appunto alla diversificazione, non alla unificazione di esse).

Ma il nostro filosofo è davvero originale e moderno nell’indicazione del metodo che – secondo lui – l’intellettuale deve seguire per accrescere il proprio sapere, un metodo attraverso cui emerge un’altra chiara differenza tra lui e i filosofi precedenti: mentre questi, per poter costruire con originalità il proprio pensiero, avevano sempre fatto tabuIa rasa di quanto era stato detto dagli altri (criterio dell’antagonismo, della competizione, della svalutazione delle teorie altrui), per Archita, invece, come egli stesso afferma nel fr. 3 Diels-Kranz:

si apprende da altri con l’aiuto altrui … se non si conosce, trovare è impossibile

solo la collaborazione tra gli studiosi porta al progresso del sapere e sapere significa mettere a frutto ciò che gli altri hanno detto, per poi proseguire nella indagine.

L’intellettuale, dunque, deve mettere la propria conoscenza al servizio della vita pratica: è questo il senso dell’impiego del calcolo, ovvero di uno strumento scientifico, per risolvere il problema della parità sociale, di carattere etico e politico; il calcolo, infatti, prosegue Archita nello stesso citato fr. 3, fa cessare le discordie, accresce la concordia, elimina la sopraffazione, fa sì che i poveri ricevano dai ricchi, essendoci tra gli uni e gli altri reciproca fiducia, è strumento di giudizio e impedisce i torti.

Questa sensibilità per gli aspetti concreti della realtà, che sembra essere caratteristica della cultura della Magna Grecia, è riscontrabile non solo nell’opera degli scienziati come Archita, ma anche nella pittura vascolare (in cui si nota un’accentuata tendenza al realismo e alla caratterizzazione individuale) e nella rappresentazione teatrale (si pensi agli spettacoli popolareschi di Epicarmo di Siracusa e di Rintone di Taranto, con il loro intenso vigore mimetico e la parodia del mito). Per questi artisti e autori il realismo non è un “elemento accessorio” come in scrittori greci, quali Aristofane e Menandro, bensì, “la realtà e l’oggetto stesso” delle loro opere, perchè essi tendono “ad inserire la concretezza del quotidiano nell’operazione intellettuale”, non “ad opporre dialetticamente il mondo sensibile ad una verità trascendente” .

Della peculiarità di questa “simbiosi” tra vita pratica e attività intellettuale, operante in Magna Grecia e in Sicilia, ma non in Grecia, il prof. Del Corno ha tentato di dare un’interpretazione. Egli non accetta – né l’accettiamo noi – l’ipotesi del determinismo geografico, tra l’altro alimentata dagli stessi Greci antichi, che contrapponevano l’aridità dei propri luoghi all’amenità delle contrade italiche, quasi che ci potesse essere tendenza al realismo solo tra paesaggi ridenti e belli da contemplare. Accetta, piuttosto, un’altra ipotesi, quella del determinismo etico, in base alla quale le genti della Magna Grecia, attraverso un lento processo di assimilazione e di integrazione di culture, avrebbe dato vita ad una particolare concezione del sapere, il cui tratto comune è appunto l’attenzione al reale, ovvero, la tendenza naturale ed innata al realismo.

Che questo sia un fatto naturale e proprio di queste genti e non di questo o quel periodo storico, può essere dimostrato dalla continuità che tale atteggiamento culturale ebbe attraverso i secoli in Magna Grecia e in Sicilia. Infatti, nell’età dell’Ellenismo, in un periodo in cui, in centri culturali diversi da quelli dell’Italia Meridionale (ma, anche da quelli della Grecia propriamente detta – bisogna aggiungere), nasceva una nuova figura di intellettuale, chiuso nella sua “turris eburnea” , isolato dall’uomo comune e ignorante (si pensi ad un Callimaco o ad un Apollonio Rodio che certamente scrissero solo per una cerchia di eruditi, in grado di intendere le loro opere fortemente “allusive”), autori come Teocrito di Siracusa e Leonida di Taranto continuavano la tradizione culturale precedente, caratterizzata dall’attenzione al reale, traendo i temi delle loro opere dalla vita quotidiana e, soprattutto Leonida, rivolgendosi ad un pubblico non colto (si pensi ai popolani che commissionano a Leonida questo o quell’epigramma). Secondo Del Corno, la concreta solidarietà che Leonida offriva alla povera gente gli derivava appunto dalla sua origine e dall’ambiente in cui si formò,  che erano quelli della Magna Grecia, e non, come altri hanno preteso di affermare, da un suo “programma di eccentricità”. Ma su questo tema si potrebbe ulteriormente discutere, riflettendo sul linguaggio adoperato dall’autore, poeta doctus, che risulta oscuro a volte e non del tutto comprensibile, soprattutto se rivolto ad un pubblico di incolti, e in ogni caso sempre molto curato nella forma e nell’espressione.