Chi era Archita?

Politico, astronomo, scienziato, filosofo

 

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Così Archita fece grande la sua Taranto

 

Era un condottiero imbattibile. È considerato l’inventore della meccanica razionale. Inventò un uccello meccanico che volava di ramo in ramo e un sonaglio per bambini. E potrebbe avere inventato anche la carrucola e la vite anticipando Archimede.

Archita (428 – 347 a. C.) fu filosofo pitagorico, politico, stratego, musicista, matematico, scienziato, astronomo, uomo di stato nonché generale. Nacque a Taranto, città della quale fu pritaneo (governatore). Attuò una politica di sviluppo che portò Taranto a diventare la metropoli più ricca e importante della Magna Grecia. Con l’edificazione di monumenti, templi e edifici diede nuovo lustro alla città e nuovo slancio al commercio stringendo relazioni con altri centri, come l’Istria, la Grecia, l’Africa. Tentò inoltre di creare una lega delle città della Magna Grecia contro le popolazioni autoctone. Amico di Platone, conosciuto in Sicilia, nel 361 avanti Cristo contribuì con la sua influenza alla liberazione del filosofo greco, tenuto prigioniero a Siracusa da Dionisio II. Fu discepolo del pitagorico Filolao di Crotone. Insegnò, in seguito, matematica a Eudosso di Cnido. Ad Archita sono tradizionalmente attribuiti molti testi spuri, mentre sono soltanto alcuni i frammenti riconosciuti come originali. Tra le sue opere, il De Mente et de principiis, il De Mente et sensu, il De Sapientia, il De decem categoriis, il De regno, il De regibus, il De generatione e il De custodia. Archita è stato il primo a proporre il raggruppamento delle discipline canoniche (l’aritmetica, la geometria, l’astronomia e la musica: il quadrivium di epoca medievale). Morì a seguito di un naufragio nelle acque di Mattinata sul Gargano (in epoca romana il paese, Matinum, era sulla costa) e lì fu sepolto, come ci riferisce il poeta Orazio:

Te maris et terrae numeroque carentis harenae

mensorem cohibentArchyta,

pulveris exigui prope litus parva Matinum

 munera

(Traduzione: … Te misuratore del Mare e della Terra e delle immensurabili arene, coprono, o Archita, pochi pugni di polvere presso il lido Matino …).

Nonostante Archita sia vissuto dopo Socrate, è inserito tra i filosofi presocratici, perché continua la filosofia pitagorica; infatti basò le sue idee filosofiche, politiche e morali, sulla matematica. Archita viene considerato l’inventore della Meccanica. Si dice che abbia inventato due straordinarie apparecchiature meccaniche. Un’apparecchiatura era un uccello meccanico, la famosa colomba di Archita, l’altra sua invenzione era un sonaglio per bambini.

Pare si trattasse d’una colomba di legno, vuota all’interno, riempita d’aria compressa, e fornita d’una valvola che permetteva apertura e chiusura, regolabile per mezzo di contrappesi. Messa su un albero, la colomba volava di ramo in ramo perché, apertasi la valvola, la fuoriuscita dell’aria ne provocava l’accensione; ma giunta ad un altro ramo, la valvola o si chiudeva da sé, o veniva chiusa da chi faceva agire i contappesi; e così di seguito, sino alla fuoriuscita totale dell’aria compressa. Il secondo giocattolo, la raganella, ebbe fortuna è ancora in uso, e spesso si vede nelle fiere popolari di giocattoli. Nella forma originaria era costituita da una piccola ruota dentata fissata ad un bastoncino. Sulla ruota, da dente a dente, saltava una molla cui era congiunto un pezzo di legno. Aristotele (Pol. VIII 6) consigliava questo giocattolo ai genitori, perché, divertendoe captando l’attenzione dei bambini, li distoglieva dal prendere e rompere oggetti domestici. Si dice anche che abbia inventato la carrucola e la vite anicipando Archimede.

Essendo Archita un pitagorico, la matematica era il suo campo d’azione principale e vedeva tutte le altre discipline subordinate alla matematica. In quest’ultimo campo, condusse delle ricerche sulla frequenza ed una teoria del suono. Contengono degli errori, ma sono considerate un lavoro straordinario che diverrà la base per la teoria di Platone. Archita stabilì per primo la serie dei numeriirrazionali e del loro calcolo, della serie cioè delle radici quadrate che si risolvono in numeri frazionari. Portò la teoria armonica ad un livello nuovo ed intero di sofisticazione teoretica e matematica.

Archita visse la sua giovinezza e la maturità (un periodo che va dal 380 al 350 a.C.) quando Taranto era una delle città più potenti nel mondo greco, uscita vincitrice dalla guerra del Peloponneso. Molto probabilmente si dedicò all’esercizio della politica solo in età adulta. In questo periodo fu eletto generale (strategòs) per sette anni di seguito. La sua elezione fu un’eccezione poiché esisteva una legge che impediva l’elezione negli anni successivi, e ciò attesta la grande considerazione che avevano di lui i tarantini. Aristosseno riporta che Archita fu un valoroso condottiero e non venne mai sconfitto in battaglia.

Accrebbe le forze dell’armata e della flotta applicando le sue scoperte di meccanica alla creazione di una primitiva artiglieria. Sotto la sua guida i tarantini sconfissero i messapi ed i lucani. Espugnarono Mesagne e fecero rientrare nell’orbita della colonia greca Brindisi ed Egnazia. La dominazione tarantina si diffuse in molte pòlis della Peucetia e della Daunia, subendo l’influenza artistica, religiosa ed economica della metropoli. Per il suo prestigio Archita fu nominato capo della confederazione degli italioti e stabilì la sede della lega ad Eraclea. Durante il suo governo, si dedicò allo sviluppo dell’economia, della cultura e dell’arte. Favorì l’agricoltura insegnando lui stesso ai cittadini i precetti per migliorare i raccolti. Spesso ricordava loro che Apollo non conoscesse altro a Falanto che fertili campi e amava ripetere:

Se vi si domanda come Taranto sia diventata grande, come si conservi tale, come si aumenti la sua ricchezza, voi potete con serena fronte e con gioia nel cuore rispondere: con la buona agricoltura. 

Nel campo legislativo promulgò diverse leggi per favorire una più equa distribuzione delle ricchezze, tenendo conto dei principi di armonia matematica.

(da La Voce del Popolo, n.11, giugno2006)

 

 

DARIO DEL CORNO, Archita di Taranto e la cultura della Magna Grecia

(a cura di FRANCESCA PORETTI)

 

Non molto tempo fa, la Preside del Liceo Classico “Archita” di Taranto, prof.ssa Franca Schembari, ha invitato il Prof. Dario Del Corno, dell’Università di Milano, a celebrare il centenario della statalizzazione del Liceo con una conferenza su Archita.

Tale conferenza non ha avuto solo il merito di ricostruire in modo illuminante e approfondito la figura di Archita e la cultura della Magna Grecia, bensì, quello, soprattutto, di far rivivere tra noi tarantini un periodo storico, di cui la città può andare giustamente orgogliosa e il cui artefice e fautore fu appunto Archita.

Questi fu al tempo stesso filosofo e uomo di Stato (fu eletto ben sette volte stratego di Taranto) nella I metà del IV secolo a. C., e in questo suo duplice ruolo è già la novità della sua esperienza, per la quale può essere accostato, in Grecia, solo a Demetrio Falereo, il principe-filosofo, che governò Atene dal 317 al 307 a.C. Infatti, i Greci della madrepatria avevano sempre tenuto distinti i due campi, quello della speculazione filosofica, pertinente alla sfera metafisica, e quello dell’attività politica o pratica, con il quale “si scendeva” alla sfera del sensibile. Viceversa, nella Magna Grecia e in Sicilia, un’autonoma elaborazione culturale aveva quasi sempre indotto i filosofi e gli intellettuali ad accostarsi al mondo sensibile, quotidiano, quasi che la teoria non avrebbe avuto senso, se non avesse trovato una sua concreta applicazione pratica.

Così Archita, sviluppando alcune ricerche già avviate nell’ambito della scuola pitagorica, segna ulteriori passi in avanti nel cammino della geometria, della matematica, della musica, dell’acustica, dell’astronomia, ma opera una innovazione che fu apertamente criticata da Platone: trasferisce, cioè, quesiti di carattere speculativo dal campo dell’astrazione filosofica a quello della meccanica e della tecnologia (per es., quando risolve tecnicamente il problema della duplicazione del cubo). D’altra parte, Archita fu famoso anche per gli ingegnosi giocattoli che costruì (la raganella, la colomba), prova della sua abilità nella meccanica applicata (da lui avrebbe preso le mosse Archimede, celebre inventore delle macchine da guerra con cui Siracusa resistette all’assedio dei Romani nel 212 a.c.).

Ancora, Archita mostra la sua indipendenza rispetto al Maestro nella concezione del sapere: Pitagora, pur nella modernità del suo studio scientifico del reale, è tuttavia ancorato ad una ipotesi di sapere globale, unitario, in cui tutte le discipline siano riconducibili ad un punto di convergenza (che, per lui, è il numero, principio di tutte le cose e mezzo di conoscenza della realtà); Archita, invece, è proiettato verso il nuovo orientamento della cultura e del sapere, fondato sulla autonomia e la specificità delle singole materie, oggetto di indagine (la “metafora della parentela” tra queste porta appunto alla diversificazione, non alla unificazione di esse).

Ma il nostro filosofo è davvero originale e moderno nell’indicazione del metodo che – secondo lui – l’intellettuale deve seguire per accrescere il proprio sapere, un metodo attraverso cui emerge un’altra chiara differenza tra lui e i filosofi precedenti: mentre questi, per poter costruire con originalità il proprio pensiero, avevano sempre fatto tabuIa rasa di quanto era stato detto dagli altri (criterio dell’antagonismo, della competizione, della svalutazione delle teorie altrui), per Archita, invece, come egli stesso afferma nel fr. 3 Diels-Kranz:

si apprende da altri con l’aiuto altrui … se non si conosce, trovare è impossibile

solo la collaborazione tra gli studiosi porta al progresso del sapere e sapere significa mettere a frutto ciò che gli altri hanno detto, per poi proseguire nella indagine.

L’intellettuale, dunque, deve mettere la propria conoscenza al servizio della vita pratica: è questo il senso dell’impiego del calcolo, ovvero di uno strumento scientifico, per risolvere il problema della parità sociale, di carattere etico e politico; il calcolo, infatti, prosegue Archita nello stesso citato fr. 3, fa cessare le discordie, accresce la concordia, elimina la sopraffazione, fa sì che i poveri ricevano dai ricchi, essendoci tra gli uni e gli altri reciproca fiducia, è strumento di giudizio e impedisce i torti.

Questa sensibilità per gli aspetti concreti della realtà, che sembra essere caratteristica della cultura della Magna Grecia, è riscontrabile non solo nell’opera degli scienziati come Archita, ma anche nella pittura vascolare (in cui si nota un’accentuata tendenza al realismo e alla caratterizzazione individuale) e nella rappresentazione teatrale (si pensi agli spettacoli popolareschi di Epicarmo di Siracusa e di Rintone di Taranto, con il loro intenso vigore mimetico e la parodia del mito). Per questi artisti e autori il realismo non è un “elemento accessorio” come in scrittori greci, quali Aristofane e Menandro, bensì, “la realtà e l’oggetto stesso” delle loro opere, perchè essi tendono “ad inserire la concretezza del quotidiano nell’operazione intellettuale”, non “ad opporre dialetticamente il mondo sensibile ad una verità trascendente” .

Della peculiarità di questa “simbiosi” tra vita pratica e attività intellettuale, operante in Magna Grecia e in Sicilia, ma non in Grecia, il prof. Del Corno ha tentato di dare un’interpretazione. Egli non accetta – né l’accettiamo noi – l’ipotesi del determinismo geografico, tra l’altro alimentata dagli stessi Greci antichi, che contrapponevano l’aridità dei propri luoghi all’amenità delle contrade italiche, quasi che ci potesse essere tendenza al realismo solo tra paesaggi ridenti e belli da contemplare. Accetta, piuttosto, un’altra ipotesi, quella del determinismo etico, in base alla quale le genti della Magna Grecia, attraverso un lento processo di assimilazione e di integrazione di culture, avrebbe dato vita ad una particolare concezione del sapere, il cui tratto comune è appunto l’attenzione al reale, ovvero, la tendenza naturale ed innata al realismo.

Che questo sia un fatto naturale e proprio di queste genti e non di questo o quel periodo storico, può essere dimostrato dalla continuità che tale atteggiamento culturale ebbe attraverso i secoli in Magna Grecia e in Sicilia. Infatti, nell’età dell’Ellenismo, in un periodo in cui, in centri culturali diversi da quelli dell’Italia Meridionale (ma, anche da quelli della Grecia propriamente detta – bisogna aggiungere), nasceva una nuova figura di intellettuale, chiuso nella sua “turris eburnea” , isolato dall’uomo comune e ignorante (si pensi ad un Callimaco o ad un Apollonio Rodio che certamente scrissero solo per una cerchia di eruditi, in grado di intendere le loro opere fortemente “allusive”), autori come Teocrito di Siracusa e Leonida di Taranto continuavano la tradizione culturale precedente, caratterizzata dall’attenzione al reale, traendo i temi delle loro opere dalla vita quotidiana e, soprattutto Leonida, rivolgendosi ad un pubblico non colto (si pensi ai popolani che commissionano a Leonida questo o quell’epigramma). Secondo Del Corno, la concreta solidarietà che Leonida offriva alla povera gente gli derivava appunto dalla sua origine e dall’ambiente in cui si formò,  che erano quelli della Magna Grecia, e non, come altri hanno preteso di affermare, da un suo “programma di eccentricità”. Ma su questo tema si potrebbe ulteriormente discutere, riflettendo sul linguaggio adoperato dall’autore, poeta doctus, che risulta oscuro a volte e non del tutto comprensibile, soprattutto se rivolto ad un pubblico di incolti, e in ogni caso sempre molto curato nella forma e nell’espressione.